Ieri è stata pubblicata l’inchiesta fatta da Marika Damaggio del Corriere del Trentino sulla pratica dello smartworking. Anche io sono stato intervistato, infatti già da fine febbraio l’azienda per la quale lavoro (Exprivia SpA) aveva esteso a quasi tutti i dipendenti la possibilità di effettuare il lavoro dalla propria abitazione, possibilità che è divenuta un obbligo dal 10 marzo quando è entrato in vigore il DCPM che regolamentava i movimenti ed dava precise indicazioni sul lavoro agile.

L’intervista è stata l’occasione per fare il punto della situazione dopo due mesi di lavoro da casa e per interrogarsi sul futuro lavorativo, al termine della situazione d’emergenza.

Stralcio dell’articolo inchiesta del Corriere del Trentino del 12 maggio 2020

Prima di tutto una doverosa premessa: non tutti i lavori possono essere fatti in modalità smart working, queste mie riflessioni sono pertanto riferite solo per quelle mansioni che non necessitano di contatti in presenza e per i quali non cambia il luogo dove vengono svolti.

Nel mio caso, ad esempio l’85% delle mansioni lavorative (mi riferisco lavoro pre-Covid dall’ufficio) posso farle da un luogo diverso dall’ufficio senza che si noti alcuna differenza in termini di efficienza, efficacia o qualità del rendimento.

Questa parte di lavoro quotidiano mi vedeva anche prima di questa situazione d’emergenza fare telefonate, conference-call, video riunioni o utilizzare sistemi di messaggistica (Skype, WhatsApp, l’email) per concordare/pianificare le attività con i colleghi. Questo perchè i colleghi con cui collaboro non sono nella mia stessa sede di Trento, ma si trovano a Vicenza, Milano, Belluno, Roma, Ancona, Molfetta per citare alcune sedi di lavoro.

Il restante 15% del lavoro richiede(va) invece una mia presenza fisica presso i clienti. Si tratta di quella parte di lavoro dove si effettua la formazione sull’utilizzo del software prodotti e l’affiancamento agli operatori nei primi giorni di avvio dei nuovi sistemi. Visto il perdurare di questa situazione di emergenza, si sta sperimentando, con qualche difficoltà in più, la formazione a distanza.

Nel mio caso non vi sono state difficoltà nello svolgere il lavoro da casa perchè avevo già tutte le conoscenze di “cultura digitale” e gli strumenti per svolgerlo.
Ogni giorno usavo (ed uso) connessioni VPN per accedere sia ai computer dei clienti sia ai dati contenuti nei server aziendali, e sempre ogni giorno mi capita di usare sistemi di accesso remoto quali AnyDesk, TeamViewer, VNC, Desktop remoto tanto per citare le più diffuse.

Chi non usava prima queste tecnologie (ad esempio i colleghi e colleghe dell’amministrazione) hanno avuto qualche difficoltà in più all’inizio e hanno dovuto chiedere supporto ai colleghi per la configurazione delle loro postazioni di lavoro a casa.

Nel mio ambito lavorativo (informatica sanitaria) il lavoro non è calato, anzi in alcuni specifici casi è pure aumentato in quanto l’emergenza ha portato nuove esigenze da parte degli ospedali (postazioni di lavoro in più, modifiche ai flussi operativi, etc.). Prima di questa emergenza, la azienda dove lavoro aveva dato la possibilità di fare un paio di giorni al mese non consecutivi di Smart Working, un numero decisamente esiguo ed infatti in molti avevano rinunciato pure di fare domanda pur avendone i requisiti e la possibilità per le mansioni svolte.

Ora dopo due mesi di questa esperienza lavorativa la domanda che ci si pone è la seguente: Terminata la fase di emergenza, si farà tesoro di questa esperienza maturata alternando il lavoro da casa con il lavoro presso i clienti e in ufficio o si ritornerà al vecchio modo di lavorare?

L’auspicio è che venga data la possibilità di fare molti più giorni al mese anche consecutivi, ora che ci siamo organizzati e che abbiamo dimostrato coi fatti che non vi è differenza tra il lavoro in ufficio e quello da casa.

Non tutti i lavori possono essere svolti da casa, questo ho premesso all’inizio di queste riflessioni sullo Smart Working, ma molto dipende anche dalla cultura digitale dell’intera popolazione. Siamo ancora troppo abituati ad andare fisicamente agli sportelli degli uffici per compiere alcune operazioni che potremmo fare da casa e/o tramite sportelli automatici.

Mi riferisco ad esempio ad andare fisicamente ad uno sportello bancario: quasi tutte le operazioni (compresa apertura e chiusura di un conto corrente) si possono fare tramite home-banking. Per non parlare di chi va ancora allo sportello bancario per prelevare dei contanti invece di usare gli sportelli bancomat e/o usare le carte elettroniche per il pagamento.
E sono ancora molte (troppe?) le persone che si recano nei diversi uffici per presentare documentazioni cartacee anzichè spedire il tutto tramite PEC (posta elettronica certificata) o effettuare on-line le stesse identiche operazioni.

Quando dico che manca una cultura digitale, mi riferisco a questo e non al fatto di avere o meno un profilo Facebook o Instagram.

Da qualche anno è possibile compilare la dichiarazione dei redditi on-line e in molti casi tutti i dati fiscali sono già presenti e precompilati. Ma quante persone si cimentano ed utilizzano questa possibilità? Ogni anno aumentano ma secondo me sono sempre poche in quanto la maggioranza lascia questo onere ai commercialisti o si reca dai CAF.

Se parlo di SPID (sistema pubblico identità digitale) o di CNS (carta nazionale dei servizi), quanti sanno a cosa mi riferisco? Eppure sono due strumenti utilissimi per accedere online a diversi sportelli della pubblica amministrazione ed avere accesso ai propri dati fiscali, pensionistici, anagrafici, relativi alla salute e via dicendo.

L’utilizzo di questi strumenti, così come l’utilizzo massivo dello Smart Working porterebbe dei vantaggi per tutti: un minor inquinamento per gli spostamenti non necessari e un maggior tempo libero da dedicare a fare quello che più ci aggrada. Il tragitto casa-lavoro e lavoro-casa può variare da mezzora fino a tre ore al giorno (e in alcuni casi anche di più): se le mansioni svolte consentono il lavoro a distanza, perchè obbligare la presenza fisica in ufficio?

Qualcuno potrebbe obiettare che lavorando da casa si hanno meno relazioni sociali. Davvero è così? O forse nel tempo risparmiato se ne possono avere di migliori con chi vogliamo realmente vedere ed incontrare? Raramente abbiamo potuto scegliere i colleghi di lavoro, anzi il più delle volte ce li siamo trovati e ci si deve sopportare a vicenda. (NB per i miei colleghi: sono stato fortunato e siete OK, ma voi potete dire lo stesso di me?)

Dobbiamo pensare ad un nuovo modello di vita lavorativa per tutte quelle mansioni che lo consentono e liberarci da tutti quelli schemi e vincoli dati dal vecchio/tradizionale lavoro d’ufficio. Un nuovo modo di lavorare che concili le esigenze personali/famigliari con quelle lavorative, un modello dove si ritorna ad essere persone e non dei semplici numeri. Speriamo che il mondo post-Covid19 possa essere migliore, anche se nutro dei forti dubbi in merito.

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