E’ trascorso un anno dall’entrata in vigore del DCPM #IoRestoaCasa: la sera di lunedì 9 marzo l’allora presidente del consiglio dei ministri Conte, per fronteggiare la rapida diffusione del Covid-19 imponeva una serie di regole e misure restrittive della mobilità e dell’apertura di negozi. Limitazioni che dovevano durare due settimane durante le quali non si poteva uscire se non per motivi di lavoro, di salute o per fare la spesa e si doveva compilare una “autocertificazione. La parola lockdown entrò nel dizionario comune delle persone. Inizio anche ad entrare nel linguaggio quotidiano la parola SmartWorking e la sigla DAD (didattica a distanza).

Le due settimane iniziali diventarono quasi due mesi di lockdown completo fino ai primi giorni di maggio (quella che venne definita fase 2) quando si ricominciò ad aprire e diventò obbligatoria la mascherina nei luoghi chiusi.

I contagi diminuirono e così a giugno si entrò nella fase 3 con ulteriori aperture. Ma già a partire da metà agosto, con l’aumento dei casi dovuto ai ritrovi estivi, ritornano le prime restrizioni. A settembre vengono regolarmente riaperte le scuole, qualche settimana dopo si inizia a parlare di seconda ondata del virus Covid19 i cui effetti a novembre costringono alla didattica a distanza per gli studenti delle scuole superiori. I DCPM si susseguono uno dietro l’altro: non si fa tempo a studiarne/leggerne uno che è già stato sostituito dal successivo.

Vengono imposte ulteriori restrizioni sui movimenti delle persone per le feste natalizie, col divieto di spostarsi tra regioni dal 21 dicembre al 6 gennaio. Ma così come è successo in estate dove non è stato rispettato l’obbligo di mascherina e di distanza interpersonale, molte persone hanno anticipato gli spostamenti prima del 21 dicembre. A fine dicembre, inizio gennaio si parlava di riapertura delle piste da sci non tanto perchè il contagio era diminuito, ma per “aiutare” gli imprenditori e i lavoratori dell’indotto ed erano stati studiati tutta una serie di accorgimenti per evitare gli assembramenti. A febbraio ogni ipotesi di riapertura delle piste da sci è stata rapidamente cancellata dall’andamento dell’epidemia e dall’arrivo di diverse varianti del virus (inglese e sudafricana in particolare) che risultano notevolmente più virulente.

Inizia la campagna vaccinale ma vi è una scarsa disponibilità di vaccini ù: solo una piccola percentuale di popolazione risulta vaccinata e non è ancora chiaro se i vaccini presenti (Pfifer, AstraZeneca, Moderna) sono efficaci anche per prevenire l’infezione da una delle varianti del Covid-19.

Cambia il governo e il presidente del consiglio dei ministri (ora è Draghi) ma non cambia la situazione: i contagi non diminuiscono e si ritorna a parlare di lockdown fino a Pasqua.

E’ trascorso un anno e nulla sembra essere cambiato o quasi.

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