E’ passato un anno da quando diverse aziende hanno imposto lo SmartWorking (ma sarebbe meglio chiamarlo telelavoro) per effetto del DCPM #IoRestoaCasa. In quest’anno molte cose sono cambiate, altre invece no.

Un anno fa le aziende temevano il lavoro agile, lo SmartWorking, il telelavoro in quanto legati ad una mentalità obsoleta che prevede il controllo a vista del lavoratore.

Andrea al lavoro in SmartWorking
(In realtà la foto risale a 10 anni fa in occasione dell’ECR di Vienna)

Dopo i primi sei mesi di SmartWorking (anche se spesso si tratta di telelavoro o lavoro da casa) le aziende, dati alla mano, si sono rese conto che sono diminuiti notevolmente i costi aziendali delle sedi (energia elettrica – riscaldamento/raffreddamento) ed è aumentata la produttività. Tant’è che le aziende hanno previsto/concesso/concordato coi dipendenti la possibilità di continuare a fare il lavoro da casa anche ad emergenza finita.

Anche se a prima vista questa può essere considerata una notizia positiva, permane nelle aziende una visione molto miope e ristretta che non prende in considerazione le esigenze dei lavoratori stessi.

Vengono imposti degli orari di presenza online (ecco perchè lo definisco lavoro da casa e non SmartWorking in quanto quest’ultimo non dovrebbe avere restrizioni sull’orario), non vengono considerati i costi sostenuti dai lavoratori in termini di energia elettrica / riscaldamento/raffreddamento, connessione internet e di ergonomia della postazione di lavoro, oltre a non garantire lo stesso trattamento economico tra chi lavora in sede e chi lavora nella propria abitazione.

Un altro effetto negativo che si è accentuato rispetto al lavoro in ufficio è il non rispetto del diritto alla disconnessione ovvero all’interruzione del lavoro durante la pausa pranzo o al termine delle ore giornaliere previste dal proprio contratto. Con la scusa dell’avere gli strumenti di lavoro a casa capita sovente che i superiori tendino a far allungare il tempo lavoro proponendo riunioni/call o quant’altro verso la fine della giornata lavorativa.

Lo SmartWorking viene visto dalle aziende come un vantaggio per il lavoratore, ma chi ci guadagna sono in realtà le aziende. Non è un caso che molte aziende stiano ridimensionando o addirittura chiudendo alcune sedi.

Nel maggio dello scorso anno, durante una intervista/inchiesta sullo SmartWorking, auspicavo che ad emergenza finita si potesse proseguire su questa strada ed in parte questo si è avverato, ma manca ancora una cultura dello SmartWorking. Si è ancora troppo legati al concetto di orario di lavoro, di presenza, di controllo del lavoratore che viene visto come forza lavoro e non come persona.

Il concetto reale di SmartWorking (o il termine italiano equivalente di lavoro agile) sarebbe quello di lavorare per obiettivi ed essere valutato sui risultati e non sull’avere o meno fatto le canoniche 8 ore al giorno per di più nell’orario stabilito/imposto dall’azienda (che corrisponde alla definizione di telelavoro).

Certamente alcune tipologie di lavoro sono previste in uno specifico orario, ma tante mansioni possono essere svolte con maggiore flessibilità, dando fiducia e responsabilità al lavoratore che in questo caso risulta essere un professionista/collaboratore e non un semplice dipendente/sottomesso.

Purtroppo siamo ancora legati al concetto di indicare il numero di giornate/uomo necessarie anziché valutare il valore di quanto prodotto. E nello stesso modo siamo propensi a giudicare un buon lavoratore quella persona che è la prima ad arrivare in ufficio e tra le ultime a lasciarlo, come se il solo fatto di fare più ore di presenza sia sinonimo dell’aver fatto un buon lavoro.

Non è così. Frequentemente è l’esatto contrario. Chi sa far bene il suo lavoro impiega meno tempo e produce un qualcosa di qualitativamente superiore. Ma questo concetto non viene proprio considerato dalle aziende. Hai impiegato meno tempo per fare un qualcosa? Allora ti viene assegnato un altro compito perchè devi fare le 8 ore al giorno previste dal tuo contratto.

Chi svolgeva rapidamente e qualitativamente superiore il suo lavoro si ritrova penalizzato in quanto non gli viene riconosciuta la qualità o il lavoro extra che ha fatto e di conseguenza lo porta a cercare un nuovo lavoro oppure si adegua alla mediocrità.

La rivoluzione dello SmartWorking e del nuovo concetto di lavorare per obiettivi/risultati è solo all’inizio: un anno fa era anche difficile solo parlarne, ora qualche passo avanti è stato fatto, ma la strada è ancora lunga e insidiosa…

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