Non male per uno studente di Ingegneria… chissà forse cambio facoltà, visto che è da un po’ che non riesco a superare un esame…
Ecco il testo del brano La Musica della Natura:
E’ arrivato settembre, le vacanze sono finite, i turisti ritornano nelle proprie case, la città riprende il suo ritmo e la gente le sue abitudini. L’impiegato raggiunge il proprio ufficio, la madre accompagna i figli più piccoli a scuola quindi si reca al proprio lavoro (in ufficio o in casa), gli studenti vanno a scuola… poche centinaia di metri, ma il traffico e la ricerca di un posto ove abbandonare per qualche ora l’auto, aumentano il tempo di permanenza sottovetro all’interno dell’abitacolo e l’emissione di inquinanti.
Altri pensionati, studenti e lavoratori prendono, per scelta o loro malgrado, i mezzi pubblici: tra queste persone ci sono anch’io.
Mi sveglio, come tutti gli studenti, poco prima delle otto, una veloce colazione perché sono già in ritardo, di corsa scendo le scale, attraverso la strada, corro e … prendo al volo l’autobus. Nonne e nipoti, studenti e lavoratori, ognuno con borsa, zaino, ventiquattrore, ombrello o voluminosi vocabolari nella mano sinistra, mentre con la destra cercano inutilmente di tenersi, di aggrapparsi a quelle fredde barre zincate, il tutto per acquistare una posizione di equilibrio stabile tale da sopravvivere tra spintoni volontari e involontari, fino alla propria fermata.
Nel frattempo si svolgono una delle tipiche “attività da autobus”. La più praticata è parlare, con chiunque ti ascolti e anche con chi non ti ascolta, da soli o con gli amici, di politica o della partita, di cantanti o di scuola, non importa l’argomento, ma quasi tutti parlano.
Parole su parole e frasi interrotte da altre frasi, si trasformano in un brusio insopportabile per chi non parla per motivi suoi o perché non ha semplicemente trovato con chi parlare. Cosa si può fare in un autobus oltre che parlare?
Alcuni hanno provato a leggere, ma il risultato è disastroso, non parliamo poi di scrivere o addirittura di studiare… impossibile! Si può però ascoltare musica. Decine di persone di ogni età, che si isolano dal trambusto infilandosi le cuffiette nelle orecchie, azionando il walkman e ascoltando il loro ritmo preferito.
A tutto volume.
Una signora in questo istante mi sta osservando, dal suo sguardo capisco quello che sta pensando: “… un altro con un walkman… diventeranno ben presto sordi… “.E’ vero, anch’io mi sono infilato le cuffiette e con un «click» ho avviato il mio walkman… per ascoltare la Musica della Natura.
Ricordo ancora quel giorno d’estate, quando equipaggiato di registratore e binocolo, sono partito alla scoperta della natura. Quel mattino mi alzai alle sette, svegliato dai raggi di sole che entravano dalle fessure tra le persiane, e aperta la finestra respirai a pieni polmoni, ossigeno e non monossido di carbonio o ozono, quindi aprendo lentamente gli occhi, si formò davanti a me il paesaggio: prati in fiore, larici, abeti, pini, querce e non la parete di una altra casa.
Inizio la giornata con la colazione: mentre bevo un goccio di latte caldo e assaporo qualche biscotto, osservo dalla finestra l’ondeggiare degli alberi e il saltellare da un ramo all’altro di fringuelli, che con il loro canto annunciano gioiosi la nascita di un nuovo giorno. Ora sono pronto, esco di casa, attraverso il prato e dopo qualche metro sono già nel bosco. Qui non ci sono strade da attraversare, autobus da rincorrere… eh sì, sono fortunato, quella casa, meta da sempre delle mie vacanze estive, poco distante dalle altre case e dal paese, è ai limiti del bosco.
La libertà di passare dalla civiltà alla Natura in meno di dieci minuti.
Ho fatto qualche passo e sono giunto al confine. Un confine immaginario, non fisico, non politico, ma solo una linea che sulle mappe del comune indica la divisione tra la zona residenziale e la zona verde. Un passo ancora e entro nel bosco. Un ultimo sguardo alla casa e un riepilogo dell’equipaggiamento: nella mano sinistra un cesto in vimini con una felpa, binocolo e registratore, nella mano destra il bastone, scarponi ai piedi e in tasca qualche foglio di carta e una penna. Sì ho tutto quello che mi serve.
Cammino per alcuni minuti, il ghiaino che ricopre la strada trasforma ogni mio passo in un rumore simile a quello prodotto da un vecchio macinacaffè a manovella, ma nonostante questo, si sentono ancora in sottofondo i rumori della civiltà: clacson di automobili, martelli pneumatici, rintocchi delle campane… sempre più deboli e affievoliti man mano che mi addentro del bosco.
Abbandono la strada e proseguo il mio cammino su di un sentiero di terra battuta: che sollievo non sentire più il rumore dei miei passi, poter sentire il mio respiro, il battito del mio cuore…
La strada si fa sempre più ripida, ma con l’aiuto del bastone donatomi da un albero di nocciole e compagno fedele delle mie passeggiate nei boschi già da alcuni anni, posso salire rapidamente, senza fatica. Il sentiero segue i lineamenti della montagna, alternando tratti ripidi a piani, un susseguirsi di avvallamenti e colline, simili per chi passa ma diversi per chi conosce e apprezza quel luogo. Mi fermo in un avvallamento, mi allontano qualche metro dal sentiero, deposito cestino e bastone e inizio ad allestire il mio campo base.
Prendo il registratore, collego il microfono esterno, posiziono quest’ultimo su di un ramo ad una altezza di poco più di un metro da terra, quindi collego le cuffiette e regolo la sensibilità del microfono. Mi guardo attorno nella ricerca di un posto lontano dal microfono e decido di posizionarmi vicino ad un sasso ricoperto di muschio così da fungere da cuscino. Mi appoggio al sasso… non è molto morbido come pensavo, ma trovo subito una soluzione, tramuto la mia felpa in un guanciale: ora sono operativo.
Tutto quel trambusto, il mio camminare avanti e indietro, il rumore creato dallo spezzarsi dei rami secchi sotto i piedi, attirò la curiosità di qualche passante.
Non uomini, sono poche le persone che si inerpicano fino qui, bensì disturbai i grilli, che smisero di cantare e gli uccelli che ora non vedevo volare.
Un «click», il registratore ora è attivo, appoggio la testa al cuscino, chiudo gli occhi e ascolto. Si sente il fruscio dei rami agitati dal vento, un suono leggero che aumenta, cresce e poi si smorza quasi completamente… quel sali e scendi descrive le vette che mi circondano, un improvviso alzarsi del vento indica la cima più alta, quel cessare istantaneamente ritrae la valle tra le due montagne, il lento risalire disegna la collina… Ascoltando bene si distinguono il mormorio dolce dei larici, quello più accentuato di pini e abeti, il fragoroso fluttuare delle foglie di quercia, il tutto interrotto di tanto in tanto dall’impatto di qualche pigna sui rami e sul suolo, e dal tintinnio delle ghiande che rimbalzano sui sassi.
Sono passati alcuni minuti il mio silenzio, il mio rimanere immobile ad ascoltare, ha convinto i grilli a ridare il ritmo al canto degli uccelli. Le allodole rallegrano il bosco con il loro canto, accompagnate dal dolce suono di un pettirosso, e in lontananza un cuculo segnala la sua presenza al concerto: il risultato è una melodia , minuto dopo minuto, sempre diversa e gioiosa. Questo suscita l’invidia di cornacchie e corvi, che , tra un brano e l’altro, esprimono la loro opinione, urlando brevi e striduli note…
Tutto d’un tratto, un rumore molto strano, difficile da descrivere a parole, copre la melodia. Non capisco cosa crea questo strano rumore, apro gli occhi, mi guardo intorno e non vedo nulla di insolito. Mi giro nella direzione del microfono e fui sorpreso. Uno scoiattolo usava il mio microfono come punto di appoggio, con le zampette anteriori afferrava le ghiande, le portava alla bocca, le annusava, con i denti rompeva il guscio e infine le mangiava. Non sapevo cosa fare: avvicinarmi e farlo fuggire o rimanere lì ad osservarlo? Non ha avuto il tempo di decidere, lui aveva già cambiato posto e dopo pochi secondi era già lontano.
Prendo il binocolo e lo osservo: è su un albero di nocciole, ma non è da solo, altri due scoiattoli si stanno rincorrendo tra i rami, uno marrone come il primo e l’altro più scuro, quasi nero. Sono velocissimi, degli abili acrobati che usano la coda come asta di equilibrio, prendono una noce dopo l’altra, saltellano qua e là senza stancarsi, io con fatica li seguo aiutato dal binocolo. Non li vedo più, sono stati più rapidi di me, sposto il binocolo in tutte le direzioni, ma niente, rapiti dal vento.
Ora osservo un cespuglio di ginepro, che si muove molto vivacemente, trema ago per ago, bacca per bacca: deve essere molto forte il vento, penso tra me, ma sbagliavo. Rimasi esterrefatto: dal cespuglio uscii un capriolo. Per poterlo osservare in modo migliore, mi alzai, ma questa mia mossa lo fece fuggire lontano. Non è raro vedere dei caprioli, ma ogni volta è una emozione unica.
Mi sono riseduto, continuo ad osservare la natura, flora e fauna, che mi circonda, ascolto e interpreto quanto vuole dirmi.
Un colpo. E’ uno sparo!
La natura si ferma a riflettere, a meditare in silenzio. Un silenzio assordante, nessuno canta più, anche i corvi tacciono, i grilli rimangono immobili, il vento cessa istantaneamente. E’ freddo, il silenzio è totale, così elevato da cancellare anche il mio respiro, non sento nulla, il battito del mio cuore si è fermato. Un silenzio assordante.
Penso al capriolo visto prima, agli scoiattoli, al pettirosso, al cuculo, ai corvi, alle cornacchie, ai grilli, ai pini, agli abeti, ai larici, alle querce, all’uomo: chi sarà la vittima di quello sparo? Anche il sole si nasconde dietro le nuvole, non vuole vedere, ha paura. La paura invade tutto il bosco, che diventa grigio, scuro, fitto e nero. Quello sparo, quell’unico sparo ha trasformato la gioia, i colori, l’amore… in solitudine, tristezza, nero e odio.
Mi sento colpevole in quanto essere umano. Vorrei gridare con tutte le mie forze, ma non ci riesco… una lacrima scende dal mio viso e tocca il suolo.
«Plin» è il rumore che questa produce. Quel piccolo suono rompe il silenzio, il vento riprende a soffiare, i grilli cantano di nuovo e con loro gli uccelli, cuculo cornacchie e corvi partecipano ancora al concerto. Il sole riappare, riscalda e infonde gioia; gli scoiattoli ritornano sui rami e il capriolo si fa ancora vedere.
La Natura aveva meditato e quella lacrima la persuase a continuare a lottare per difendersi dall’uomo, fino a quando esisterà qualcuno che soffre per le sue ferite e gioisce con la sua armonia.
La Musica della Natura: ecco quello che sto ascoltando su un autobus. Ora sono giunto alla mia fermata, scendo e mi avvio verso la mia scuola, felice non tanto di studiare, ma perché domani ritornerò in quel bosco a passeggiare tra i colori dell’autunno e a pensare quel giorno d’estate.
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