Il 29 ottobre 1969 (50 anni esatti fa) venne inviato il primo messaggio attraverso la rete Arpanet e pertanto questo giorno è stato denominato Internet Day ed impropriamente si festeggiano i 50 anni di Internet. Impropriamente perché solo dopo la definizione del protocollo TCP/IP nel 1982 si può parlare di internet, ma poco importa.
I social network sono uno dei servizi quotidianamente più usati di internet e questo ha modificato abitudini e consuetudini e ci da l’illusione di conoscere le persone che stiamo “seguendo” o che sono nostri “amici” (anche se la definizione corretta sarebbe che fanno parte dei nostri contatti).
Ti arriva una richiesta di “seguirti” o mandi una “richiesta di amicizia” o ricambi il fatto d’essere “seguito” ed ecco che da quel momento in poi ricevi informazioni da quel contatto (ammettendo che abbia approvato la richiesta).
Ecco pertanto che post dopo post, foto dopo foto, “mi piace” dopo “mi piace” ti sembra di conoscere sempre di più quella persona… perchè in un certo qual modo “viviamo” alcuni dei frammenti di vita di questi nostri “amici”.
E’ davvero così? Stiamo vivendo con loro questi loro episodi di vita? O siamo dei semplici spettatori?
La realtà è che siamo semplici spettatori di quello che la persona ha deciso di mostrare e di rendere pubblico. Questo è un punto critico e fondamentale: guardiamo e leggiamo quanto quella persona ha deciso di rendere pubblico. Non è esattamente il suo pensiero e non è il racconto totale e sincero della sua vita, ma quello che vuole farci sapere della sua vita.
Non è un caso che da anni il sottotitolo del mio blog/sito è “Tutto quello che mi va di raccontare…”
La pubblicazione sui social network (qualsiasi esso sia) è paragonabile ad un film dove le scene venute male vengono rifatte o tagliate dal montaggio finale.
Si ha quindi una visione frammentata ed incompleta della persona ma raramente ci si rende veramente conto di questo, e ci si illude di riuscire a conoscere una persona solo leggendo/vedendo quello che pubblica.
Ma le persone non sono (solo) quello che pubblicano, non sono fatte dei soli momenti sorridenti delle foto delle vacanze, hanno anche altri aspetti intimi ed interiori che ne delineano la fragilità e la forza, la semplicità e la complessità ed in una parola l’umanità.
Cinquanta anni fa hanno spedito il primo messaggio tra due computer e narra la leggenda che parte della trasmissione non andò a buon fine… che sia stato un avvertimento?
Lo stesso capita oggi quando si inviano dei messaggi o si commenta un qualcosa: la trasmissione non va a buon fine, ma non per problemi tecnici, ma per fraintendimenti ed incomprensioni date dall’illusione di conoscersi ed amplificata dalla mancanza di tutta la comunicazione non verbale che non può essere sostituita da delle emoticons.
Il sorridere, il ridere, l’essere seri o l’essere ironici, l’arrossire, lo stupore, il guardarsi negli occhi ed il gesticolare delle mani sono quella parte di comunicazione non verbale, sono emozioni e sensazioni che ti aiutano a capire il reale tono della conversazione.
Certo sono state inventate le emoticons, ma davvero una piccola faccina gialla sorridente o un cuoricino rosso possono rendere l’emozione di un sorriso o l’emozione di guardarsi negli occhi?
Di questo ci rendiamo conto? Sembra di no visto che facciamo a gara a chi ha più “follower”, più “mi piace”, a chi risulta più popolare e non ci sogniamo neppure di ammettere la nostra debolezza e fragilità che ci rendono unici e meravigliosamente umani.
Pochi, davvero pochi se ne rendono conto… e credo molto dipenda dall’esperienza fatta all’interno di questo mondo che non è più possibile definire virtuale… ecco perchè la mia venticinquennale esperienza mi ha portato a scrivere quel semplice ma significativo sottotitolo “Tutto quello che mi va di raccontare…”
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